Since February this year and the birth of this dream of going to India with the family for six months, I have been sparring with the soldiers of officialdom. Incomprehensible and seemingly contradictory rules, regulations and procedures have proven frustrating and infuriating. After a long topsy-turvy struggle to get a six-month leave from work, we are now still waiting – after nearly two months – for our passports with visas to be released from the Indian consulate in Milan.
No visa, no airline tickets, no word of when we will actually be able to leave – yet our bags packed, our goodbyes behind us, and images of the Ganges overflowing with Monsoon rains in our heads.
No visa, no airline tickets, no word of when we will actually be able to leave – yet our bags packed, our goodbyes behind us, and images of the Ganges overflowing with Monsoon rains in our heads.
So while we’re waiting, a poem…
Paul
Waiting for India
Waiting with knowledge
of expectations fulfilled;
with hope built
on the rock
of past hope
made real.
This is waiting electric
with daydreams of
gifts, trophies and rewards.
Waiting without;
this is a stagnant stupor.
Not knowing
when, if, or how.
Not knowing
how to navigate
quagmires of
paragraphs, codes and commas.
Here, in offices
of hard, fast law
interlocked
with human error
and approximation,
hope is directionless;
nowhere to set its sights.
Waiting helpless
there opens
a dark cramp corner
of the mind
where doubt
converses with fear
and together take a foothold
in their ascent towards
a higher plateau:
Why am I doing this?
Think of the risks!
Is it really what I want?
Why not stay home?
This dank dark space
needs an invasion
of breath,
of light.
Leave preoccupation
to the winds.
Let it fly like a red balloon,
a tiny dot in the blue blue sky,
and get back
to waiting… waiting…
where hope can be made
electric again.
§§§§§
Da febbraio di quest’anno e dalla nascita di questo sogno di fare sei mesi di volontariato con tutta la famiglia in India, sto sfidando i soldati del regno burocratico. Regole, norme, e procedure incomprensibili e apparentemente contraddittorie sono diventate fonte di frustrazione e irritazione. Dopo una lunga rocambolesca lotta per avere il sabbatico, ora stiamo ancora aspettando – dopo quasi due mesi – i nostri passaporti con il visto indiano dal consolato di Milano.
Nessun visto, nessun biglietto aereo, nessun avviso di quando potremo partire – però i bagagli sono pronti, i saluti a famiglia e amici sono fatti, e sogniamo il Gange che straripa con le piogge monsoniche.
Così, mentre aspettiamo, una poesia …
Paul
Aspettando l’India
Aspettando
con consapevolezza
di attese realizzate,
con speranze costruite
sulla roccia
di speranze rese reali.
Questo è un aspettare acceso
di sogni ad occhi aperti
di regali, trofei e riconoscimenti.
Aspettare senza –
questo è un triste torpore.
Non conoscere
quando, se, e come.
Non conoscere
come navigare la palude
di paragrafi, codici, punti e virgole.
Qui, negli uffici
di leggi intransigenti
annodate
ad errori e approssimazioni umane,
le speranze sono cristalli
in una casa di elefanti.
Aspettando impotente
si apre nella mente
un angolo scuro e stretto
dove il dubbio conversa
con la paura
ed insieme fanno un passo
verso la scogliera più alta:
Che cosa sto facendo?
Pensa ai rischi!
Perché desidero questo?
Perché non restiamo a casa?
A questo spazio,
buio e umido
con l’odore del vecchio,
serve un soffio di vita
serve luce e illuminazione.
Libera la preoccupazione
al vento.
Lasciala volare
come un palloncino rosso,
un piccolo puntino
nel vasto cielo azzurro
e torna all’attesa,
dove la speranza
può accendersi di nuovo.
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