Passando da un aeroporto ad un altro – Venezia, Zurigo, Delhi – trovo una rassicurante uniformità e prevedibilità. Si sa cosa si deve fare e come orientarsi anche in aeroporti sconosciuti, come erano Zurigo e Delhi per me. Moderne costruzioni di vetro e acciaio, pulite, luminose e con aria condizionata, queste sinapsi del nuovo villaggio globale sono ognuna il clone dell’altra. E naturalmente non dicono niente del paese in cui si trovano.
Zurich airport |
Per intravedere qualcosa di singolare si deve osservare le persone ed è qui dove inizia il più bello a Delhi. Per esempio, mentre a Zurigo bastava una persona (e a volte solo un cartello ben fatto) per un dato servizio e a Venezia magari 2 o 3, a Delhi ce n’erano una dozzina. Quando siamo arrivati alla dogana per dichiarare cosa avevamo di valore, abbiamo trovato circa dieci uomini, tutti vestiti in divisa bianca con cappello, tutti seduti insieme a chiacchierare. “E’ qui dove devo dichiarare le nostre cose di valore?” e mi guardano come se fossi arrivato da Marte. “Ho un portatile, la macchina fotografica, una video camera …” E mentre faccio il mio elenco, uno di loro vede Federica e fa un sorriso grande come il sole e le pizzica le guance come farebbe suo nonno. “Anche lei appartiene a me!” ho aggiunto. E scoppiano tutti e dieci in una grande risata. Poi con un gesto che vedrò ripetuto in India, uno di loro mi guarda e con un mezzo sorriso fa un piccolo movimento della testa che mi fa capire che potevo andare avanti senza perdere tempo a compilare moduli.
Infine prima di uscire e incominciare a cercare il nostro tassista, veniamo fermati ancora una volta per un controllo dei nostri passaporti. Anche qui c’erano diversi ufficiali tutti raggruppati attorno alla porta d’uscita. Ma prima ancora di poter tirare fuori i documenti, un soldato nota con non poca sorpresa che stavamo viaggiando con tre figli piccoli e, mantenendo sempre un atteggiamento da ufficiale ma allo stesso tempo con l’occhio furbo e tono amichevole, incomincia a farci delle domande: “Da dove venite? Dove andate? Cosa fate a Varanasi? Per quanto tempo restate?” E a questo punto guarda i tre bambini, “Bravi, bravi. Bello per i bambini. Molto bello.” Poi chiama una collega, parla in Hindi, ma intuisco che le racconta di questa famiglia che resterà a lungo in India. Allora ci chiede se conosciamo un po’ di Hindi, e dopo la nostra ammissione di ignoranza ecco che comincia la nostra prima lezione. Ci fa ripetere qualche frase utile e se la nostra pronuncia non è perfetta dobbiamo ripetere la frase, e questo è andato avanti per almeno dieci minuti. Il nostro tassista che ci vedeva da fuori pensava stessimo avendo qualche problema con i nostri documenti. Alla fine della lezione avevo ormai i documenti già da tempo in mano e quando ho cercato di darglieli, lui mi guarda e con un mezzo sorriso, fa un piccolo movimento della testa e ci lascia passare.
Delhi airport |
Era evidente subito dall’inizio che i bambini, e in modo particolare Federica, sarebbero stati il nostro passaporto per l’India.
Paul
31/08/2010
persone ancora senza troppa malizia....bello!!!
ReplyDeleteanche se posso immaginare che Federica compri chiunque con un sorriso ^_*
Mi ha commosso il valore dei piccoli , specie laddove accompagnato da quello dei grandi . Grazie Petra di avermi regalato questi minuti di poesia , ti abbraccio
ReplyDelete@ Maddi: grazie per il commento, però non vorrei prendermi meriti non miei: per i minuti di poesia devi ringraziare Paul! ;-)
ReplyDeleteChe emozione aprire il computer e trovarvi felici nella strada verso l'India. Al di la della fatica dei preparativi, si intuisce che il rapporto umano è sempre quello più vero anche con chi non si conosce, i bambini aprono più velocemente il cuore.
ReplyDelete