Passage to India!
Lo, soul! seest thou not God’s purpose from the first?
The earth to be spann’d, connected by network,
The races, neighbors, to marry and be given in marriage,
The oceans to be cross’d, the distant brought near,
The lands to be welded together.

Walt Whitman (1819-1892)

Thursday 18 November 2010

The New India

Domenica siamo stati in un villaggio dove da qualche anno con la collaborazione del Centro Kiran vengono aiutate le donne con corsi di sartoria in modo che possano imparare un mestiere ed avere un’opportunità in più per trovare un lavoro. Tra queste donne ci sono anche quelle diversamente abili.  Vinod, un ragazzo giovane con molto coraggio e determinazione, ha messo in piedi questo progetto praticamente da solo e così ogni tanto rappresentanti dal Centro Kiran va al villaggio per aiutarlo a sensibilizzare gli abitanti alle esigenze che le donne e i disabili hanno di costruirsi una vita dignitosa. Quella domenica Sangeeta era impegnata altrove così ha chiesto a me e alla famiglia di andarci al suo posto.

Il villaggio non è tanto lontano da Kiran, sempre sotto il comune di Varanasi, con uno standard di vita molto molto basso. C’è qualche negozio – e per negozio si deve immaginare una scatola due metri per tre con il negoziante seduto per terra davanti all’ingresso con la merce ammucchiata alle spalle – alcune bancarelle sistemate per terra con frutta e verdura, una scuola che sembra una fattoria e tante case fatte di pietra e fango con gli animali attorno e le famiglie che lavorano i campi.

Siamo arrivati nel cortile della scuola verso le undici di mattina, e stavano ancora preparando per il nostro arrivo. C’era chi portava le sedie, chi sistemava microfoni e altoparlanti e poi c’era la solita folla che guardava l’arrivo degli “extracomunitari”. Noi siamo arrivati con il Kiran scuolabus assieme ad alcuni membri dello staff e degli allievi che erano venuti per cantare. Vinod ci ha raccontato il lavoro che veniva fatto, e poi ci ha fatto visitare una piccola esposizione con delle foto e anche campioni dei vestiti fatti dalle donne del villaggio.

In poco tempo tutti i posti erano stati presi quasi esclusivamente da donne e bambini. Sono stato accompagnato al mio posto ad una lunga tavola davanti al pubblico e lì vedo per la prima volta il programma con il mio nome, Mr Paul (non usano il cognome qui), preceduto dallo scritto “Very Honorable Special Guest”. L’inglese degli Indiani è molto formale, ma ho incominciato a preoccuparmi che il discorso che avevo preparato non avrebbe meritato un titolo così elevato. In quel momento si alza un signore seduto accanto a me e incomincia a parlare al pubblico. Il discorso è tutto in hindi, dunque non capisco nulla, ma lui alza un bicchiere vuoto, parla e poi versa mezzo bicchiere di acqua, e fa una domanda al pubblico. Tra me e me penso: ecco il proverbiale bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno – niente di nuovo. Però in seguito versa una polvere nell’acqua che diventa di un colore rosso scuro come il sangue e aggiunge ancora acqua riempiendo il bicchiere, e penso: sta parlando forse della sofferenza del popolo? Ma infine svuota il bicchiere in una grande lattina rossa, la chiude con un coperchio e tenendo in alto con la mano sinistra la lattina con dentro l’acqua color di sangue in modo che tutti la possano vedere incomincia a muovere la mano destra come se volesse mandare delle onde di energia e trasformare il contenuto. A questo punto ho dato un'altra occhiata al programma – forse ho sbagliato villaggio. Il signore riapre la lattina, ancora qualche parola al pubblico e poi rovescia la lattina sopra la mia testa e cade una delicata doccia di petali rosa e rossi –  l’uomo era un mago!


Ho scoperto che quando ci sono questi incontri nei villaggi fanno tutto il possibile per attirare la gente. Sui muri del cortile puntati fuori verso il villaggio c’erano enormi megafoni che trasmettevano tutto quello che si faceva dentro, così lo show del mago ha fatto arrivare i giovani e i maschi. Più tardi c’erano i nostri musicisti e allievi che hanno cantato e infine c’è stato anche un piccolo gruppo teatrale dal seminario di Varanasi che ha fatto una semplice opera teatrale dedicata ai disabili con musica e canto che si sentiva ovunque e loro hanno completamente riempito il cortile di persone – non c’era più spazio nemmeno in piedi.


Comunque, per fortuna c’erano questi momenti di intrattenimento perché i discorsi erano tanti e molto lunghi e per me incomprensibili – come potete immaginare avevo  smesso di cercare di indovinare di che cosa stavano parlando. Quindi alla fine di ogni lungo discorso che mi precedeva io tagliuzzavo un pezzetto del mio. Quando è toccato a me mi sono alzato, con ancora qualche petalo rosso in testa, assieme al traduttore, ognuno con un microfono in mano e in quell’istante i microfoni hanno deciso di non funzionare. Visto che la voce arrivava alle orecchie del pubblico solo a scatti ho cercato di conservare semplicemente il cuore del discorso che riguardava la riflessione che aveva fatto Sangeeta proprio quella settimana: “L’amicizia cresce in quanto si fa qualcosa di bello e difficile insieme.”  Un pensiero semplicissimo ma molto profondo. Il lavoro che viene fatto qui è decisamente bello e non è per nulla facile, ma il desiderio di realizzare un grande ideale ha creato legami molto forti sia tra le persone che lavorano da anni a Kiran che molti altri che condividono questo sogno nei villaggi sparsi attorno a Varanasi – ci sono più di 4000 bambini e giovani che entrano nella rete del lavoro di Kiran. Così alla fine le parole sono state poche ma apprezzate e il Very Honorable Special Guest Mr Paul si è seduto con l’applauso cortese dal pubblico e il sorriso del mago.


Alle 3.30 il programma si era concluso dopo quattro ore e mezzo – i nostri bambini erano stanchissimi e non solo loro! – non avevamo ancora mangiato, ma gli organizzatori avevano preparato per ognuno di noi un sacchetto di plastica con il pranzo da mangiare durante il viaggio di ritorno. Nel sacchetto c’erano quattro puri –  una sorte di panino arabo – una salsa di verdura speziata di curry e un piccolo dolce. Un gesto molto generoso pensando ai mezzi modesti che avevano, ma purtroppo era impossibile intingere il pane nella salsa di verdura da un sacchetto di plastica viaggiando in un piccolo scuolabus che percorreva strade con più buche che asfalto senza sporcarsi. Così abbiamo mangiato solo il pane e il dolcetto. A metà strada noi cinque abbiamo dovuto scendere dalla scuolabus perché alle 5 di sera stava per iniziare l’altra metà di questa lunga domenica ricchissima di impressioni.

Siamo scesi davanti ad una scuola privata di Varanasi dove insegna l’allenatore di hockey di Leo e Alex.  Lui ci aveva invitato ad uno spettacolo annuale che gli studenti assieme ai loro insegnanti stavano preparando. Di nuovo eravamo trattati da Special Guests: abbiamo conosciuto la preside e dopo aver scambiato qualche parola siamo stati accompagnati in prima fila davanti al palco – e che palcoscenico! All’aperto su un prato grande come un campo da calcio c’era un grandissimo palco con 98 strumenti musicali – sitar, tabla, tastiere elettroniche, percussioni, chitarre, flauti, ecc. – appoggiati per terra che aspettavano i loro musicisti. Tecnici provavano un sistema di luci teatrali a livello professionale. Il tecnico del suono metteva a punto un intricato sistema audio. Altoparlanti enormi producevano un suono che riempiva l’intera area ad un volume altissimo – purtroppo per le nostre orecchie eravamo seduti proprio di fronte! C’era uno schermo gigante che proiettava lo spettacolo in diretta accompagnato da 4 schermi plasma sistemati più indietro per gli spettatori seduti infondo al campo. In confronto a quello che abbiamo visto appena un’ora prima, questo era un altro pianeta.




Anche i discorsi erano decisamente diversi. Il direttore della scuola ha parlato in lingua inglese – non potevo più divertirmi a fare l’indovino. Infatti tutte le materia della scuola vengono insegnate in lingua inglese e devo dire che i ragazzi la parlano molto bene. Il suo discorso era illustrato con vari grafici e statistiche proiettate sugli schermi che indicavano il grande successo degli allievi della scuola, i loro risultati in esami nazionali e il loro accesso alle università più prestigiose dell’India.  Il suo linguaggio veniva punteggiato con espressioni come “risultati senza paralleli”, “nati per eccellere”, e “incomparabile successo”. Lo spirito era estremamente competitivo, forte, e sicuro – questa era la “Nuova India” di cui avevo sentito tanto parlare: l’India dell’impressionante boom economico, l’India della nuova classe media, l’India che sfiderà l’egemonia dell’occidente, l’India che aspira a conquistare il 21esimo secolo.


Senza dubbio il livello dello spettacolo era molto alto considerando che erano ragazzi della scuola superiore. Hanno suonato, recitato (facendo due spettacoli teatrali, uno tradizionale in Hindi l’altro contemporaneo in inglese), all’entrata c’era la mostra dei lavori artigianali e disegni, e infine hanno chiuso il programma – di 4 ore e mezzo! – con uno spettacolo sportivo di ogni sport immaginabile tutto sul palcoscenico. Quest’ultimo è stato preceduto dal discorso del responsabile per lo sport – una grande priorità per la scuola – e il professore ha parlato dello sport come una “guerra” – e devo dire che la parola mi ha colpito e scioccato. Fino a quel momento non avevo percepito nulla nel comportamento o il modo di essere degli Indiani che poteva essere in qualsiasi modo legato a quella parola. Il professore naturalmente ha parlato anche del rispetto per le regole e per l’avversario, e che quando c’è questo rispetto non ci sono né vincitori né perdenti.  Però la parola “guerra” veniva ripetuta e scritta in grande sugli schermi, e non si può addolcire il veleno con il miele. Lo spettacolo si è concluso con fuochi d’artificio, musica rock tutta occidentale, e sugli schermi  immagini degli allievi durante le loro gite scolastiche in pose e atteggiamenti che rispecchiavano immagini televisive e i film che arrivano nelle case indiane dall’America.




Il giorno dopo, lunedì mattina, come tutti i lunedì durante l’assemblea prima di iniziare con le lezioni, Sangetea ha letto la citazione di cui poi ha fatto le sue riflessioni. Era una citazione di Madre Teresa: “Ciò che è importante nella vita non è tanto il successo, ma la fedeltà.” Mentre Sangeeta faceva le sue riflessioni in Hindi per i bambini, io facevo le mie. Gli Indiani giustamente stanno cercando di migliorare la loro sorte, ma nella corsa per arrivarci rischiano seriamente di perdere le loro tradizioni, il loro spirito, la loro lettura dei segni dei tempi. E’ interessante che all’incontro del villaggio ogni speaker ha fatto un piccolo omaggio in memoria alla nascita di Jawaharlal Nehru, lo storico primo ministro dell’India, mentre alla scuola privata non l’hanno nemmeno accennato. E’ possibile che non ci sia modo di arrivare alla prosperità senza percorrere la strada americana ed escludere  trequarti della popolazione? Credo che la fedeltà alla parte migliore dell’umanità, ai grandi maestri della vita, ai loro insegnamenti, e ai valori umani che portiamo già nel cuore possa portarci a delle scelte diverse.


Paul

2 comments:

  1. che bel racconto!!!!!!!!

    che ridere immaginarti lì, coi petali in testa!!!!

    .........

    è appena terminata una bellissima trasmissione rai tre di e con Fabio Fazio e Roberto Saviano, 'Vieni via con me', è morto Mario Monicelli, ... molte persone si stanno impegnando ... continuiamo, senza sosta, c'è molto da fare, c'è molto impegno

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  2. un po' divertiti per il vostro racconto di un'India semplice e vera dove le persone cercano di migliorarsi, resta rammarico per quest'altra India che cerca la competivita a costo di perdere per strada la propria cultura.
    Grazie per la tua storia
    Giuliana e Loris

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