Passage to India!
Lo, soul! seest thou not God’s purpose from the first?
The earth to be spann’d, connected by network,
The races, neighbors, to marry and be given in marriage,
The oceans to be cross’d, the distant brought near,
The lands to be welded together.

Walt Whitman (1819-1892)

Sunday, 12 December 2010

La vita quotidiana

Leggendo il nostro blog degli ultimi tre mesi potrebbe sembrare che stiamo passando una bella vacanza qui in India! Pare che ci sia sempre qualche nuova festa religiosa o qualche occasione speciale da celebrare. E in effetti essere qui, dove ogni piccolo aspetto della vita è una novità, e dove siamo lontanissimi dalle solite preoccupazioni, ci permette di liberare la mente: da tre mesi non vedo una bolletta, non controllo il conto corrente, non guardo il telegiornale, non viaggio sul treno quattro ore andata e ritorno per lavorare… invece dalla mattina alla sera siamo pervasi da nuovi suoni, profumi, racconti e relazioni umane…

C’è da dire però che non è solo la novità di un paese così diverso che porta a questo sano distacco mentale, ma soprattutto il lavoro che stiamo facendo. Investire l’energia e l’impegno in un’attività la cui ricompensa è semplicemente un sorriso, uno sguardo di gratitudine, o un abbraccio da uno dei piccoli cancella le ansie legate al solito rapporto contrattuale. Inoltre c’è la profonda soddisfazione di poter far parte e di contribuire alla realizzazione di un sogno che è iniziato 20 anni fa sotto un portico nel centro di Varanasi, dove Sangeeta assieme ad un paio di amici stretti hanno iniziato ad aiutare pochi bambini diversamente abili ad uscire di casa e incominciare a vivere con più autonomia, autostima e dignità. La forza di questo sogno è molto vivo ancora oggi: dalla continua progettazione di nuovi programmi per affrontare i problemi dell’integrazione dei disabili alla pianificazione e realizzazione di questi progetti con la collaborazione democratica di tutto lo staff. Si respira proprio il piacere di lavorare in questo modo e per questi obiettivi. E così vorrei raccontarvi della vita quotidiana a Kiran.

Ora le mattine incominciano essere un po’ fredde, perciò questa settimana per la prima volta abbiamo iniziato a scaldare l’acqua della doccia. Avremmo potuto iniziare anche prima – i ragazzi si lamentavano dell’acqua fredda – ma sapendo che il piccolo bollitore della nostra guest house è un privilegio dei volontari europei, ho resistito fino ad ora. Comunque già alle dieci di mattina il sole scalda e siamo in maniche corte fino al tramonto, quando di nuovo si sta bene con una maglia leggera. Questa regola però non si applica agli Indiani che sono vestiti con maglioni, giacche, sciarpe e berretti di lana – sembrano pronti per fare una discesa ad alta quota con gli sci!

Assieme all’abbassamento della temperatura c’è stata anche una diminuzione dei canti mattutini degli uccelli. C’è una grande varietà di uccelli nella zona e nei primi mesi i canti iniziavano molto presto la mattina in un concerto free jazz di suoni esotici. Ora la notte è completamente silenziosa e alla mattina c’è solo qualche canto – sempre bello – di quelli che resistono al richiamo di migrare verso il sud. Però anche se gli uccelli non ci fossero, la musica ci sarebbe comunque: dal tempio hindu che sta a 500 metri da noi incominciano i canti amplificati ad un volume abbastanza alto per sentire bene anche a casa nostra, e a volte incominciano anche alle 4 di mattina! Dunque anch’io mi alzo piuttosto presto: devo aiutare Clementia a preparare Ravi, ma prima vado nel bellissimo Sadhnayala: un piccolo edificio interreligioso (progettato da un architetto irlandese) che viene usato tranquillamente da tutti – Hindu, Musulmani, Buddhisti, Cristiani o meditatori laici – perché il suo interno rotondo è spoglio: non ci sono immagini religiose di nessun tipo. Il Sadhnayala è a due passi dalla nostra guest house così mi fermo per meditare da solo, e già prima del mio arrivo alle 6.30 di mattina Shanta e le signore del girls hostel hanno finito di pulire e poi abbellire il centro dell’edificio con dei fiori freschi. Dopo una mezzoretta cammino verso Ravi Nivas (la casa di Ravi) e se sono fortunato e Clementia sta ancora bevendo il chai nel girls hostel con Chanda e Shanta, allora vengo chiamato a prendere una tazza assieme a loro. E’ proprio un bel momento quello di essere seduto per terra a bere questo bollente, speziato tè e latte, il freddo umido chiuso fuori e dentro il caldo suono delle storie e le risate delle signore. Non capisco nulla, ma non importa, è bello lo stesso.

Questa settimana Ravi Nivas è piena: ci sono 5 mamme con i loro figli (più due papà) per il mother training. Questo avviene per tre settimane al mese quando vengono accolte le mamme (ma a volte, appunto, arrivano anche i papà) di bambini con paralisi cerebrale. In questa settimana le mamme dormono e mangiano – tutto gratis – presso questa struttura qui a Kiran e vengono aiutate da specialisti a interagire con i loro figli, a stimolarli e a riconoscere i micro-miglioramenti che potrebbero svilupparsi. Mi meraviglio allo spirito di adattamento di queste famiglie che spesso arrivano da molto lontano, e la mattina presto li trovo presi a lavare e vestire i loro bambini con grosse difficoltà motorie in un ambiente – se pur molto dignitoso – che richiede molta pazienza: le camere hanno un letto solo, e i servizi come il bagno e la cucina devono essere condivisi. Rimango colpito anche da come Clementia e altri membri dello staff riescono a reggere con generosità il grande lavoro in più. La tolleranza, pazienza e tranquillità in situazioni come queste è proprio una delle caratteristiche più notevoli degli indiani.

Quando torno alla nostra guest house è ora di preparare per il risveglio dei miei dormiglioni. Vedo che a quasi tutti i volontari occidentali piace stare a letto il più possibile, mentre gli indiani si svegliano prestissimo – anche alle quattro di mattina! Questo l’avevo scoperto durante le ore di inglese quando ho fatto la solita lezione elementare sulla routine quotidiana: molti studenti della scuola superiore, ma pure alcuni bambini, si alzano alle quattro per studiare.  Anche quelli che vivono qui nel centro a due passi dalla scuola sono già vestiti e stanno ripassando i loro libri quando vado a preparare Ravi. Comunque i miei li lascio dormire – non mi lamento di avere un’oretta di santa pace prima che si sveglino. In quell’ora faccio bollire il latte che arriva ogni mattina dalla signora Elizabeth che oltre a lavorare a Kiran ha una piccola fattoria con delle mucche e porta il latte caldo appena munto alle famiglie che abitano nel centro, faccio poi anch’io il chai e con il latte che rimane mi faccio lo yoghurt per il giorno dopo – un rimedio miracoloso contro i disturbi intestinali che l’acqua o il cibo o qualche virus può provocare. In quell’ora arrivano anche gli scuolabus pieni di bambini che vengono dalla città di Varanasi e dai villaggi circostanti. Sento le grida allegre dei bambini che corrono verso le porte spalancate della scuola per depositare le loro cartelle e che poi giocano prima di aggregarsi nell’assembly hall per la preghiera mattutina. I miei a questo punto incominciano ad aprire gli occhi… ma sono veloci a prepararsi: la colazione è pronta e non devono pensare a come vestirsi: hanno la divisa – una fortuna! Vanno velocemente a prendere Ravi perché Petra deve accompagnarlo all’assembly hall e poi resta con lui a fare una lunga passeggiata fino a quando ha l’appuntamento con i fisioterapisti.

L’assemblea che si fa ogni mattina è uno dei momenti più belli della giornata. Sul palco un po’ rialzato si trova un gruppo di bambini di una classe che condurranno la preghiera. Con loro ci sono i musicisti: Saurabh, che suona l’harmonium, e S. che suona la tabla. Gli altri bambini sono tutti seduti per terra in fila raggruppati per classe con i loro insegnanti. Di lunedì c’è anche tutto lo staff – 130 persone – di Kiran che partecipa. I bambini in sedia a rotelle stanno invece ai lati del palco. Nonostante l’ordine e la disciplina regna sempre un’atmosfera serena e rilassata. L’ordine è rispettoso e non opprimente. Alle nove in punto inizia il suono dell’harmonium, la tabla e il canto dei bambini; non hanno in mano libretti con le note o le parole – cantano tutto a memoria – e hanno un bel repertorio perché le canzoni cambiano tutti giorni. Poi c’è il pensiero del giorno che di lunedì viene commentato da Sangeeta e negli altri giorni viene semplicemente letto da uno dei bambini sul palco. Il pensiero può provenire da varie fonti: il Bhagavad Gita, il Corano, la Bibbia oppure una citazione da un grande maestro spirituale come Madre Teresa, Ghandi, o Tagore. Queste parole vengono seguite da pochi minuti di silenzio e riflessione personale. E’ impressionante come bambini anche molto piccoli (età dell’asilo) restano in silenzio seduti al loro posto senza disturbare i loro vicini. Credo che in Italia i nostri insegnanti pagherebbero oro per avere un tale comportamento. L’assemblea chiude sempre con la canzone Canto alla Pace che ancora adesso, dopo averlo sentito quasi ogni giorno, mi emoziona: c’è qualcosa nell’innocenza delle voci, nel ritmo della tabla e nella melodia semplicissima dell’harmonium che mi tocca profondamente. Un bellissimo modo di iniziare la giornata.

Ora il lavoro con la scuola: mi ci è voluto tempo per capire quello che serviva agli insegnanti e ai bambini. A parte il fatto che non lavoro con bambini delle primarie da molti anni, ho avuto poca esperienza di casi di special education, che in alcune classi qui possono essere anche quattro o cinque elementi su 15-18 bambini. Non sono solo casi di handicap fisico, ma anche di un limite di apprendimento. Ho trovato che c’è la tendenza di rallentare molto il progresso della classe per favorire questi bambini, però di conseguenza si perdono i più capaci che si annoiano.

Il primo passo per me è stato quello di raccogliere materiale – soprattutto da internet – che poteva stimolare la curiosità e la voglia d’imparare in modo differenziato, cioè qualche esercizio o gioco linguistico in più per chi aveva afferrato  la lezione mentre altri bambini potevano essere aiutati singolarmente. Dopo un periodo di prove e errori ora mi sento di essere riuscito a fare qualche passo in avanti: i bambini sono contenti di vedermi arrivare con qualcosa di diverso da fare, e le maestre vedono i benefici di un approccio che toglie l’attenzione dall’insegnante e punta di più su una certa autonomia dei bambini. Non è semplice, perché ogni paese ha la sua cultura d’insegnamento e qui c’è ancora quella dell’insegnante al centro e i bambini hanno un ruolo piuttosto passivo. Di conseguenza si fa molta fatica a far lavorare i bambini su un’attività per conto proprio. Però su questo punto credo che il lavoro di Petra possa aiutare molto.

Diversamente da quello che speravo, Petra non ha imparato a fare la marmellata! Invece sta proprio lavorando su quello che a lei piace di più e per cui è indubbiamente portata: insegnare lo sport. Lei aveva iniziato a portare i bambini a cavallo, che a loro piaceva moltissimo, però non poteva portarne più di due alla volta e tutti gli altri bambini erano fermi, seduti in classe ad aspettare il loro turno. Così Petra ha organizzato per i bambini che dovevano aspettare dei giochi che, guarda caso, coinvolgevano in qualche modo sempre la palla ovale!

Chi la conosce sa che Petra ha una passione incontenibile per qualsiasi gioco – dai giochetti al computer allo sport competitivo – e questo l’hanno capito tutti qui a Kiran. Così, con la prima occasione di sfruttare questa sua appassionata energia, l’hanno subito ingaggiata a far parte dello Sport Committee per aiutare a organizzare l’International Disability Day, una giornata dedicata al gioco e cultura per bambini diversamente abili che si è tenuto il 3 dicembre. Era il primo anno che il Centro Kiran ha partecipato e Petra si è trovata proprio a suo agio, correndo da un evento all’altro cercando di indirizzare e incitare i ragazzi. Le maestre indiane – tutte tranquille e pacate di natura – si meravigliavano: “Le abbiamo detto di stare calma, ma proprio non si ferma!” mi hanno detto. “Un tornado non si può fermare” ho risposto, “bisogna solo cercare riparo!”.

E così da quel giorno il cavallo è in pensione e Petra sta facendo educazione fisica con i bambini e bisogna proprio vederli e sentirli: la polvere del campo secco riempie l’aria, risate, incitazioni, e urla di vittoria si sentono anche nelle aule. E nessuno è escluso: chi in sedia a rotelle, chi con stampelle, chi con braccia e gambe sane – tutti che giocano insieme – è uno spettacolo! Sono convinto che questo tipo di attività può solo avere degli effetti positivi anche in aula. I bambini hanno bisogno non solo di muoversi e sfogare le loro energie, ma di farlo con ordine, con rispetto per le regole e con responsabilità. Sono certo che coordinando l’educazione del corpo e quella della mente si potrebbe avere bambini meno passivi e più creativi.

La giornata con la scuola finisce alle tre e poi incomincia il lavoro con lo staff e gli studenti dell’istituto per i servizi sociali (HRTC). Anche loro vogliono approfittare della presenza di un madrelingua. Molti dello staff sono insegnanti e dato che ci sarebbe l’intenzione a lungo termine di insegnare tutte le materie in lingua inglese, è importante per loro venire non solo per migliorare la lingua ma anche per vedere un altro approccio all’insegnamento. Altri membri dello staff invece hanno visitatori oppure volontari occidentali e l’inglese è la lingua franca. Le lezioni puntano soprattutto sulla conversazione e per me sono diventate un’opportunità per imparare, apprezzare e discutere le differenze culturali-sociali tra occidente e oriente: il matrimonio combinato, i ruoli della donna e dell’uomo, anche le differenze tra Indian English e l’inglese americano o britannico. Forse il tema che più mi ha colpito era quello su la vita di Anne Frank. Avevo scelto un testo breve e avevo immaginato che lo staff non lo conoscesse, ma non pensavo di dover spiegare parole come “Holocaust”, “concentration camp” o “Auschwitz”. Lo staff sono persone istruite con una buona cultura alle spalle ma sapevano poco o nulla della persecuzione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Quanto dista l’occidente dall’oriente! Un fatto storico che ha lasciato un segno profondo e indelebile nella coscienza collettiva occidentale non è altro che qualche riga in un libro di testo scolastico per l’oriente. E lo stesso vale senza dubbio al contrario: noi abbiamo solo una conoscenza molto superficiale di eventi importantissimi per l’India. Eventi che formano la coscienza delle persone, eventi che ancora oggi uniscono oppure dividono il paese.

A proposito della scelta di questo tema, magari pensate che avrei potuto scegliere uno un po’ più allegro. In verità l’avevo scelto in risposta ad una questione che è stata discussa durante un incontro generale con tutto lo staff. Sangeeta aveva proposto di cambiare un gesto che viene usato dai bambini ogni mattina durante l’assemblea: quando recitano il giuramento alla nazione (pledge of allegiance) alzano il braccio destro dritto e rigido  con la mano aperta – un gesto che a molti occidentali che visitano Kiran ricorda il gesto fascista. Si è accesa una discussione vivace e infine è stato deciso che tutto resta com’è, perché questo gesto antichissimo indiano non ha nulla a che fare con il fanatismo. Invece da secoli quando uno vuol giurare la verità di ciò che dice mette la mano sopra la fiamma sacra con il braccio esteso dritto. Con questa spiegazione si è cancellata qualsiasi associazione con il fascismo europeo.

Infine, dopo le lezioni con lo staff e gli studenti, la giornata chiude come è iniziata: con Ravi. Petra va a prenderlo verso le cinque e lui resta con noi fino a cena. E’ una buona occasione per una passeggiata verso il Gange, o verso i villaggi più vicini, oppure per restare al centro e farlo divertire sul grande tappeto elastico (trampoline). Ecco la nostra vita quotidiana a Kiran. E’ stato un blog post assai lungo – perdonatemi – ma credetemi, ci sarebbero ancora molte cose da raccontare – ma per queste aspetteremo di vederci in persona. E non ci sarà poi molto da aspettare… il tempo sta volando!

Date un’occhiata tra un paio di giorni quando avremo aggiunto delle foto.

Paul

Tuesday, 30 November 2010

Mother Ganga

There must be a million lines of verse written about the Ganges River... well here's my drop in the ocean.





Mother Ganga

5 a.m.
and heaven and earth are one
as the still night sky melts
into Her inky black current.
She is the Dance that
flows from the one Mind
of Creation and Destruction:
all that comes
and all that goes,
all that is born
and is thus reborn
is carried from spring to ocean,
from ocean to seamless cloud,
from seamless cloud to the icy mountaintop.

and so we gather
like famished butterflies
after lifetimes of metamorphoses;
we beat our wings
in grand displays of gratitude,
for we have come to the nectar of life
where all is given, and all is taken away.
on Her banks we come robed in splendor
and raising vessels overflowing
with Life and Death
we pray Her to bless our seed and bless our womb,
to wash our sin and make us worthy to give,
for so sweet is Her giving, and so just is Her taking away.



but here I stand at the fringe
an unbeliever wishing to believe
asserting the safe distance of analysis,
when the Child draws near inquisitively:
“Sir, how long is the Ganges? Do you know?”
my left-brain clicks into action
calculating kilometers, while
his right senses the gap;
and a smile of white pearls illuminates
the answer to his question:
“Why sir, it is endless.”

the ice trickles from the mountaintop
as the sun warms heaven and earth.
and raising Her mist, cool and damp,
She makes a ghost of the other side.
the green and orange hues of land and sky
are Hers; as Hers are
the flight of birds
the shimmer of stars
the ripples of faith.
a boat struggles against the current
a lone oarsman pressing forward
never turning back
and as he dissolves into the mist
I am reminded once more:
the raft is not the shore.
the raft is not the shore.


Paul


Monday, 22 November 2010

Diwali

As I have mentioned the fall season in Varanasi is a wealth of festivities and special occasions. Two weekends ago it was Diwali, which had the feel of Christmas or New Year about it. Everyone we met wished us Happy Diwali, and just like at Christmas there was the commercialization of Diwali – although not nearly so extreme and not three months ahead of time – with all sorts of discounts, special offers, and advertising recalling the celebration.

At Kiran an afternoon was spent getting the school grounds ready for the festivity; to start with everyone was busy cleaning, including the teaching staff; then beautiful rangolis (decorative folk art similar to mandalas) were designed first on paper, then sketched on the ground with chalk, and finally the colors were added with flower petals and plant stems that had been cut very finely. Small candles and diyas (small clay oil lamps) were lit everywhere, so that by the time night fell a beautifully peaceful atmosphere had been created. Everyone walked around admiring the various rangolis, and since Petra was out with the camera, all the children wanted their pictures taken.




Earlier that day before beginning with the work at school, I decided to give our little guesthouse a good sweeping as well. Although the floor space isn’t much it takes quite some time given the means available for the job (check out the photo of our Indian broom – perfectly biodegradable, but completely impractical). Anyway, I got the job done and the place looked clean and smelled of pine needles and incense.

When I was done, I decided to pick up my “bible” on Varanasi, Diana Eck’s Banaras City of Light , to find out what this Diwali is all about. As usual these Hindu feast days are never so straight forward as the Christian holidays – it seems that once a day of remembrance has been created everyone wants in on the fun, so many different traditions commemorate different mythological events.

First and foremost Diwali celebrates the return of Lord Rama to Ayodhya after his fourteen-year-long exile and his victory over the demon-king Ravana. In the ancient Indian epic, Ramayana,  the people of Ayodhya did what all the Indians were doing –  they illuminated the kingdom with earthen diyas and burst firecrackers.

However, it turns out that everyone was cleaning homes, classrooms and offices for another very good reason: to welcome Lakshmi, the Goddess of Fortune and Prosperity. Everyone is called to clean and decorate their houses with care so that she shall desire to dwell in their homes, and thus bring wealth to the family. Later on in the city we would see people busily white washing their homes, hanging out their laundry, stringing up electric lights, and decorating their storefronts all in the name of welcoming the Goddess Lakshmi.

Finally, that evening, while we were out marveling at the rangolis whose delicate beauty would last only one night, Petra and I got called into the administration office, and for the first time since we had arrived we were given our “pay” – it’s just the pocket money that volunteers are given, but nevertheless it seems that Lakshmi was quite impressed with my sweeping!

Two weeks after Diwali on 21 November, with the moon in its fullest and most auspicious form, there was the follow-up called Deepawali or what is also known as the Festival of Lights. It marks the moment when Mahavira, the founder of Jainism, achieved Enlightenment and was thus delivered from the cycle of death and rebirth. And Varanasi really is an extraordinary place to be on the night of Deepawali.

There was an air of excitement that started already at 4 a.m., when an endless flow of pilgrims began to arrive at the Ganges for the predawn prayers and ritual bathing. I could hear the commotion from our hotel room and decided to get up at about 5. I could never have imagined what I was about to see. Picture in your mind the Carnival parade in Viareggio, add on a Corpus Christi procession in Rome and multiply by a thousand and you might just get an idea of what it’s like. There was the joyous chaos of a street festival while at the same time the careful attention to ageless rituals and traditions. There were no priests or ministers to lead the people in the ceremonies – everyone knew just what to do. Thousands upon thousands making their way to the riverfront, moving along in perfectly functional disorder, managing to find a way across the muddy ghats to a space along the banks where they could feely express their love and devotion. The river was pitch black, the air  cold, and entire extended families from the very young to the very aged were in the holy waters giving praise, washing clothes, brushing teeth, or just splashing about, and soon they were out again back across the muddy banks to the ghat steps, huddling together in order to manage the tricky maneuvers necessary to get out of wet clothes and into dry ones without baring their skin to public view. Hundreds of beggars lined the pathways leading to the river, aluminum pans in their outstretched hands awaiting the offerings of the newly cleansed pilgrims who had arrived with large bags of rice that they could dole out in fistfuls – this too was clearly part of the ritual. The sun slowly made its warm presence known; the changing hues of the sky were reflected faithfully on the river’s surface – and the pilgrims continued to flow in and flow out.

This extraordinary atmosphere was maintained throughout the day, culminating in an incredible show that evening. Each ghat has its own committee who organizes the festivities for that ghat, and I got the impression that on the night of Deepawali the ghats were trying to outdo each other. Hundreds of diyas were carefully placed one next to the other in long rows all along the ghats. Murals were painted on the temple walls and even the steps of the ghats were freshly painted. At some of the ghats stages were put up right on the river front where classical Indian music and dance as well as the evening puja would be performed.




We had rented a boat along with several other Kiran volunteers to see everything from the river – no doubt the best place to be. In fact boat rentals skyrocket on the night of Deepawali; nevertheless the river was as crowded with boats as Venice’s Bacino di San Marco at the festival of the Redentore. And it truly was a spectacularly unforgettable show of lights, fireworks, Indian music, and ceremonial pujas.





Paul

Thursday, 18 November 2010

The New India

Domenica siamo stati in un villaggio dove da qualche anno con la collaborazione del Centro Kiran vengono aiutate le donne con corsi di sartoria in modo che possano imparare un mestiere ed avere un’opportunità in più per trovare un lavoro. Tra queste donne ci sono anche quelle diversamente abili.  Vinod, un ragazzo giovane con molto coraggio e determinazione, ha messo in piedi questo progetto praticamente da solo e così ogni tanto rappresentanti dal Centro Kiran va al villaggio per aiutarlo a sensibilizzare gli abitanti alle esigenze che le donne e i disabili hanno di costruirsi una vita dignitosa. Quella domenica Sangeeta era impegnata altrove così ha chiesto a me e alla famiglia di andarci al suo posto.

Il villaggio non è tanto lontano da Kiran, sempre sotto il comune di Varanasi, con uno standard di vita molto molto basso. C’è qualche negozio – e per negozio si deve immaginare una scatola due metri per tre con il negoziante seduto per terra davanti all’ingresso con la merce ammucchiata alle spalle – alcune bancarelle sistemate per terra con frutta e verdura, una scuola che sembra una fattoria e tante case fatte di pietra e fango con gli animali attorno e le famiglie che lavorano i campi.

Siamo arrivati nel cortile della scuola verso le undici di mattina, e stavano ancora preparando per il nostro arrivo. C’era chi portava le sedie, chi sistemava microfoni e altoparlanti e poi c’era la solita folla che guardava l’arrivo degli “extracomunitari”. Noi siamo arrivati con il Kiran scuolabus assieme ad alcuni membri dello staff e degli allievi che erano venuti per cantare. Vinod ci ha raccontato il lavoro che veniva fatto, e poi ci ha fatto visitare una piccola esposizione con delle foto e anche campioni dei vestiti fatti dalle donne del villaggio.

In poco tempo tutti i posti erano stati presi quasi esclusivamente da donne e bambini. Sono stato accompagnato al mio posto ad una lunga tavola davanti al pubblico e lì vedo per la prima volta il programma con il mio nome, Mr Paul (non usano il cognome qui), preceduto dallo scritto “Very Honorable Special Guest”. L’inglese degli Indiani è molto formale, ma ho incominciato a preoccuparmi che il discorso che avevo preparato non avrebbe meritato un titolo così elevato. In quel momento si alza un signore seduto accanto a me e incomincia a parlare al pubblico. Il discorso è tutto in hindi, dunque non capisco nulla, ma lui alza un bicchiere vuoto, parla e poi versa mezzo bicchiere di acqua, e fa una domanda al pubblico. Tra me e me penso: ecco il proverbiale bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno – niente di nuovo. Però in seguito versa una polvere nell’acqua che diventa di un colore rosso scuro come il sangue e aggiunge ancora acqua riempiendo il bicchiere, e penso: sta parlando forse della sofferenza del popolo? Ma infine svuota il bicchiere in una grande lattina rossa, la chiude con un coperchio e tenendo in alto con la mano sinistra la lattina con dentro l’acqua color di sangue in modo che tutti la possano vedere incomincia a muovere la mano destra come se volesse mandare delle onde di energia e trasformare il contenuto. A questo punto ho dato un'altra occhiata al programma – forse ho sbagliato villaggio. Il signore riapre la lattina, ancora qualche parola al pubblico e poi rovescia la lattina sopra la mia testa e cade una delicata doccia di petali rosa e rossi –  l’uomo era un mago!


Ho scoperto che quando ci sono questi incontri nei villaggi fanno tutto il possibile per attirare la gente. Sui muri del cortile puntati fuori verso il villaggio c’erano enormi megafoni che trasmettevano tutto quello che si faceva dentro, così lo show del mago ha fatto arrivare i giovani e i maschi. Più tardi c’erano i nostri musicisti e allievi che hanno cantato e infine c’è stato anche un piccolo gruppo teatrale dal seminario di Varanasi che ha fatto una semplice opera teatrale dedicata ai disabili con musica e canto che si sentiva ovunque e loro hanno completamente riempito il cortile di persone – non c’era più spazio nemmeno in piedi.


Comunque, per fortuna c’erano questi momenti di intrattenimento perché i discorsi erano tanti e molto lunghi e per me incomprensibili – come potete immaginare avevo  smesso di cercare di indovinare di che cosa stavano parlando. Quindi alla fine di ogni lungo discorso che mi precedeva io tagliuzzavo un pezzetto del mio. Quando è toccato a me mi sono alzato, con ancora qualche petalo rosso in testa, assieme al traduttore, ognuno con un microfono in mano e in quell’istante i microfoni hanno deciso di non funzionare. Visto che la voce arrivava alle orecchie del pubblico solo a scatti ho cercato di conservare semplicemente il cuore del discorso che riguardava la riflessione che aveva fatto Sangeeta proprio quella settimana: “L’amicizia cresce in quanto si fa qualcosa di bello e difficile insieme.”  Un pensiero semplicissimo ma molto profondo. Il lavoro che viene fatto qui è decisamente bello e non è per nulla facile, ma il desiderio di realizzare un grande ideale ha creato legami molto forti sia tra le persone che lavorano da anni a Kiran che molti altri che condividono questo sogno nei villaggi sparsi attorno a Varanasi – ci sono più di 4000 bambini e giovani che entrano nella rete del lavoro di Kiran. Così alla fine le parole sono state poche ma apprezzate e il Very Honorable Special Guest Mr Paul si è seduto con l’applauso cortese dal pubblico e il sorriso del mago.


Alle 3.30 il programma si era concluso dopo quattro ore e mezzo – i nostri bambini erano stanchissimi e non solo loro! – non avevamo ancora mangiato, ma gli organizzatori avevano preparato per ognuno di noi un sacchetto di plastica con il pranzo da mangiare durante il viaggio di ritorno. Nel sacchetto c’erano quattro puri –  una sorte di panino arabo – una salsa di verdura speziata di curry e un piccolo dolce. Un gesto molto generoso pensando ai mezzi modesti che avevano, ma purtroppo era impossibile intingere il pane nella salsa di verdura da un sacchetto di plastica viaggiando in un piccolo scuolabus che percorreva strade con più buche che asfalto senza sporcarsi. Così abbiamo mangiato solo il pane e il dolcetto. A metà strada noi cinque abbiamo dovuto scendere dalla scuolabus perché alle 5 di sera stava per iniziare l’altra metà di questa lunga domenica ricchissima di impressioni.

Siamo scesi davanti ad una scuola privata di Varanasi dove insegna l’allenatore di hockey di Leo e Alex.  Lui ci aveva invitato ad uno spettacolo annuale che gli studenti assieme ai loro insegnanti stavano preparando. Di nuovo eravamo trattati da Special Guests: abbiamo conosciuto la preside e dopo aver scambiato qualche parola siamo stati accompagnati in prima fila davanti al palco – e che palcoscenico! All’aperto su un prato grande come un campo da calcio c’era un grandissimo palco con 98 strumenti musicali – sitar, tabla, tastiere elettroniche, percussioni, chitarre, flauti, ecc. – appoggiati per terra che aspettavano i loro musicisti. Tecnici provavano un sistema di luci teatrali a livello professionale. Il tecnico del suono metteva a punto un intricato sistema audio. Altoparlanti enormi producevano un suono che riempiva l’intera area ad un volume altissimo – purtroppo per le nostre orecchie eravamo seduti proprio di fronte! C’era uno schermo gigante che proiettava lo spettacolo in diretta accompagnato da 4 schermi plasma sistemati più indietro per gli spettatori seduti infondo al campo. In confronto a quello che abbiamo visto appena un’ora prima, questo era un altro pianeta.




Anche i discorsi erano decisamente diversi. Il direttore della scuola ha parlato in lingua inglese – non potevo più divertirmi a fare l’indovino. Infatti tutte le materia della scuola vengono insegnate in lingua inglese e devo dire che i ragazzi la parlano molto bene. Il suo discorso era illustrato con vari grafici e statistiche proiettate sugli schermi che indicavano il grande successo degli allievi della scuola, i loro risultati in esami nazionali e il loro accesso alle università più prestigiose dell’India.  Il suo linguaggio veniva punteggiato con espressioni come “risultati senza paralleli”, “nati per eccellere”, e “incomparabile successo”. Lo spirito era estremamente competitivo, forte, e sicuro – questa era la “Nuova India” di cui avevo sentito tanto parlare: l’India dell’impressionante boom economico, l’India della nuova classe media, l’India che sfiderà l’egemonia dell’occidente, l’India che aspira a conquistare il 21esimo secolo.


Senza dubbio il livello dello spettacolo era molto alto considerando che erano ragazzi della scuola superiore. Hanno suonato, recitato (facendo due spettacoli teatrali, uno tradizionale in Hindi l’altro contemporaneo in inglese), all’entrata c’era la mostra dei lavori artigianali e disegni, e infine hanno chiuso il programma – di 4 ore e mezzo! – con uno spettacolo sportivo di ogni sport immaginabile tutto sul palcoscenico. Quest’ultimo è stato preceduto dal discorso del responsabile per lo sport – una grande priorità per la scuola – e il professore ha parlato dello sport come una “guerra” – e devo dire che la parola mi ha colpito e scioccato. Fino a quel momento non avevo percepito nulla nel comportamento o il modo di essere degli Indiani che poteva essere in qualsiasi modo legato a quella parola. Il professore naturalmente ha parlato anche del rispetto per le regole e per l’avversario, e che quando c’è questo rispetto non ci sono né vincitori né perdenti.  Però la parola “guerra” veniva ripetuta e scritta in grande sugli schermi, e non si può addolcire il veleno con il miele. Lo spettacolo si è concluso con fuochi d’artificio, musica rock tutta occidentale, e sugli schermi  immagini degli allievi durante le loro gite scolastiche in pose e atteggiamenti che rispecchiavano immagini televisive e i film che arrivano nelle case indiane dall’America.




Il giorno dopo, lunedì mattina, come tutti i lunedì durante l’assemblea prima di iniziare con le lezioni, Sangetea ha letto la citazione di cui poi ha fatto le sue riflessioni. Era una citazione di Madre Teresa: “Ciò che è importante nella vita non è tanto il successo, ma la fedeltà.” Mentre Sangeeta faceva le sue riflessioni in Hindi per i bambini, io facevo le mie. Gli Indiani giustamente stanno cercando di migliorare la loro sorte, ma nella corsa per arrivarci rischiano seriamente di perdere le loro tradizioni, il loro spirito, la loro lettura dei segni dei tempi. E’ interessante che all’incontro del villaggio ogni speaker ha fatto un piccolo omaggio in memoria alla nascita di Jawaharlal Nehru, lo storico primo ministro dell’India, mentre alla scuola privata non l’hanno nemmeno accennato. E’ possibile che non ci sia modo di arrivare alla prosperità senza percorrere la strada americana ed escludere  trequarti della popolazione? Credo che la fedeltà alla parte migliore dell’umanità, ai grandi maestri della vita, ai loro insegnamenti, e ai valori umani che portiamo già nel cuore possa portarci a delle scelte diverse.


Paul

Wednesday, 3 November 2010

Ravi

Since our arrival Petra and I have been assisting in the care of Ravi, a young man with severe cerebral palsy. Ravi was adopted by the Kiran Centre about 20 years ago when he had been abandoned on the doorsteps of the city hospital. Basically we try to lighten the load of his full-time caretaker, Clementia, so I go every morning to bathe him and Petra takes him out twice a day for walks and other activities. He loves the pool, the trampoline and playing with our boys. Every evening he’s over at our guesthouse to spend some time with us before dinner. It’s a good opportunity for him to break with his routine and for our kids to interact with him.


A noi piace molto spingerlo nella carrozzina, ogni mattina facciamo la gara per prenderlo da casa sua per portarlo all’Assembly Hall. E’ divertente stare con lui. Quando è a casa nostra e non sta facendo niente  e sembra annoiato gli passiamo la palla e lui ride e ride.
Alex & Leo







Here are a few lines about my experience with him.
Paul
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜

washing Ravi

as i walk in
you turn, you look
though you cannot hear
the greetings in the hall
the feet on the floor
the scrape of the door
you know i’m here.
you turn, you look
you crane your head,
and grinding your teeth
into a smile,
you welcome the new day.

“good morning Ravi!”, i say
awaiting no reply, for
wordless  are your lips.
but you grasp, you clench
with your flailing limbs
a garment, a wrist, a hand
and hold tight, hold tight
to what is real, what is true.
i bend and cradle you
like a child in my arms
yet you are a man.
how your mother
must have wept
when her soul was severed
from the body
she could not heal.
but now your mothers are many
and they rock you, rock you
in their open arms.

i carry then lay you
on white ceramic tiles
to wash away the night.
i strip you of your clothing
and lay your skin bare –
i feel your wrists and hands
knees and legs, ankles and feet
bent at impossible angles.
so as i rub the red soap
into your thick jet-black hair
onto your smooth dark-brown skin
your flesh becomes mine
and mine yours
as i soften the borders
and dissolve that space
where fear can corrupt the giving.

you laugh and laugh –
a laughter that rises
from deep within your chest
and rasps at your throat
in spasms of joy,
for you know better than i
how good it is to be alive!
i smell the scent of oil
massaged into your skin
your body now spotless,
you sit strapped to your wheels.
i turn and i go, knowing
the sacrifice of your body
has made love pure
washing my sin away.




Sunday, 31 October 2010

I nostri compleanni



From Leo

Al mio compleanno (30 settembre) siamo andati a Varanasi. Abbiamo camminato per un po’, e poi all'ora di pranzo siamo andati in una pizzeria vicino al Gange, il fiume sacro.


Prima di tornare a Kiran abbiamo comprato due tortine. Arrivati abbiamo invitato gli altri due volontari che sono qui. Sarah è molto simpatica e sempre sorridente, è arrivata due settimane prima di noi e andrà via qualche giorno prima di Natale. Tutti hanno cantato Happy birthday, io ho soffiato sulle candeline e abbiamo mangiato le torte. Sarah mi ha regalato un piccolo Transformer e un libro dei Famous Five (La banda dei cinque) di Enid Blyton. L’altro volontario, Urban, che è il presidente dell’associazione svizzera Amici di Kiran, mi ha regalato una mega tavoletta di buonissimo cioccolato svizzero. Mamma e papà mi hanno regalato un libro in inglese di Mickey Mouse e un altro libro di Enid Blyton, The Secret Seven.


Dopo cena al girls' hostel ho offerto biscotti a tutti
I libri di Enid Blyton, una scrittrice per ragazzi molto conosciuta in Gran Bretagna, li ho già letti tutti: non è stato così difficile come immaginavo, sono belli perché parlano di avventura e ho addirittura cominciato a leggerli per la seconda volta! Vedendo quanto mi sono piaciuti, mamma l’altro giorno è andata in città e ha comprato un grosso libro che contiene 3 storie dei Famous Five: lei l’ha già finito tutto ed ora tocca a me iniziare le avventure di George, Julian, Dick, Anne e Timmy (i protagonisti). A me piacerebbe tanto formare con i miei amici una banda come quella dei Cinque e avere tante avventure come loro!


In ottobre sono nate a Kiran due cucciolate: i cagnolini sono dentro una tana da un paio di settimane e noi speriamo che escano prima o poi. Qui c’è un piccolo cane che ci sta molto simpatico e gioca sempre con noi; ad alcuni cani che sono molto magri diamo dei pezzi di pane.


Oggi siamo stati invitati a pranzo dal nostro allenatore di hockey, che vive in un villaggio a un paio di  chilometri da Kiran. Abita in una grande casa perché ha una famiglia molto numerosa: infatti con sua moglie vive assieme ai suoi genitori, ai suoi fratelli e alle loro famiglie, anche sua nonna che ha circa 80 anni abita con loro. Ci hanno offerto un piatto tipico di questa zona, il thali: riso, dal, subji (verdure), frittelline di patate, chapati. I suoi nipoti –  Arpita, Ayush e Piyush – vengono a giocare a hockey con noi. Il coach ci ha procurato i bastoni da hockey e adesso possiamo allenarci anche a casa. Devo dire che mi sto appassionando a questo nuovo sport e mi diverto ad allenarmi ogni giorno (anche se non mi sono certamente dimenticato del rugby!).

Io con Alex e Arpita

From Alex
                                                                               
Il fine settimana prima del mio compleanno (18 ottobre) siamo stati tre giorni a Varanasi per il Durga Puja; abbiamo mangiato pizza due volte (la sera a Godaulia e a pranzo ad Asi Ghat  - mi è piaciuta di più la seconda).

Dalla terrazza del nostro hotel a Varanasi
Sabato mattina ci siamo alzati alle 5 per andare a fare un giro in barca lungo il Gange e abbiamo visto tanti ghats, anche quello dove bruciano i morti e li mettono nel fiume. Abbiamo visto il fuoco che usano per accendere la pira. Dalla barca si riusciva a vedere delle scimmie che correvano e saltavano da un tempio all’altro.


Scimmie equilibriste
Per il compleanno siamo stati a casa perché eravamo appena tornati da Varanasi: papà mi ha cucinato una pasta al pomodoro e melanzane speciale! Per i biscotti sono venute  Sarah 1 (dal Lussemburgo), Sara 2 (dall’Italia) e Teresa (la dottoressa). Ho ricevuto diversi regali: un piccolo Transformer, un libro da colorare di Ganesh (un dio hindu con la testa di elefante), un libro in inglese di Asterix, due Mickey Mouse, e un libro in italiano di Gianni Rodari.



La sera al girls' hostel le cuoche mi hanno regalato dei fiori
A scuola ho iniziato ad andare a musica dove canto in hindi mentre gli insegnanti suonano la tabla e l'harmonium.

Alla Sports Academy quando i più grandi giocano a calcio (il sabato) ho iniziato ad allenarmi dietro la porta con gli altri bambini più piccoli a hockey perché non è facile rubare la palla ai ragazzini più grandi. Ora abbiamo dei bastoni da hockey nuovi: uno rosso e uno nero in fiberglass e due in legno. Li porteremo in Italia quando torniamo così possiamo continuare a giocare anche a casa.


Alla Sports Academy sono arrivate le tute, i pantaloncini e la polo con il logo della società: i colori sono blu e arancione e adesso andiamo all'allenamento sempre con questi vestiti.



From Kikka

Al mio compleanno (28 ottobre) dopo aver cenato al girls' hostel abbiamo dato biscotti e caramelle italiane (l'ultima scorta portata da Silvano!) e le ragazze mi hanno cantato Happy birthday in hindi e poi abbiamo anche ballato.



Dopo cena siamo andati a casa dove avevamo invitato Sarah, Urban, Moreno, Teresa, Marianne e Sangeeta, e sono venuti anche Chandani, Suraj e la loro mamma che mi sistema sempre i capelli e stasera mi ha messo il bindi sulla fronte. 


Abbiamo mangiato le torte che aveva preparato il baker, una al limone e una al cioccolato, erano buonissime.


Ho ricevuto tanti regali: libretti da colorare e crayons, penna, colla e calendario svizzero, un leoncino e un elefantino, finti gelati e pasticcini per giocare a mamma casetta, pantaloni e maglietta, quattro bangles (braccialetti) e anche un bastone da hockey di legno con il manico rosa! 



Grazie a tutti quelli che sono venuti alla mia festa e mi hanno dato tutti questi bei regali!





Wednesday, 27 October 2010

Bodhgaya


Shortly after the Kiran Festival we decided to take advantage of the three-day holiday to visit the Buddhist pilgrimage site of Bodhgaya. It was our first solo adventure away from Kiran’s protective arms and it was also our first journey on the mythical Indian railway. Even our journey to the railway station, which is outside Varanasi, held a few surprises for us. To start with our driver had to take the motorway – another first for us – and even this stretch of modern India possesses the same air of unpredictability as any twisted alley in the centre of Varanasi. Anybody can travel on it, and you don’t need a motor: cyclists, pedestrians, cows and goats to name but a few. You want to get on? No on or off ramps to deal with, just try your luck at the next intersection with no traffic light of course – after all it is a motorway. It seems the bigger the vehicle the greater the right of way. And while we were chugging along – our van couldn’t do more than about 40 km/hour – we saw a herd of camels being led to market – and it wasn’t just the kids who couldn’t take their eyes off them!



The situation at the train station was madder than the madness I had expected: a donkey occupied the steps to the front entrance, hundreds of people were waiting and sleeping on the floor of the main hall, and all along the platforms crowds were jostling as the trains arrived in order to pack themselves into the already crowded carriages. The good news was our train was on time and we managed to find seats for all of us. We were together with a very nice group of university students from Delhi who were on their way home because of the Commonwealth Games. Lessons had been suspended because the university campus was being used as a venue for the games. And so we had some interesting conversation: they were all travelling back to their small village – a 28-hour journey from Delhi – they were all studying economics, and they all had the dream of leaving their tiny village to pursue careers in Delhi or Mumbai or Bangalore – the promise of the new India. As usual our kids were the centre of attention and the students very generously spoiled them with sweets and snacks.



The conversation helped the three and a half hour journey pass quickly, and when we arrived in Gaya we immediately found a rickshaw to Bodhgaya, which added about another hour to the journey. Since the air conditioned train fogged up the windows, making it impossible to see anything outside, the rickshaw ride finally allowed us to admire the landscape in Bihar. There were tall palm trees among the green tilled fields, rocky gray hills jutted up suddenly from the extensive flat plains, and the very wide and dry river bed of the Niranjana River dominated the scene.



After settling into our guesthouse we went for our first walk to see a bit of Bodhgaya. I was little disappointed with all the traffic noise – I guess I was expecting a more quietly subdued atmosphere to surround one of Buddhism’s holiest sites, but instead it was the usual dust, loud honking and ramshackle market stalls all along the streets. We walked to the Gelugpa Tibetan Buddhist monastery, one of the many Temples/Monasteries that make up the incongruous frame of the main Mahadbodhi Temple, and soon the noises of the world became inconsequential. The monastery complex had a small central prayer hall with walls and ceilings depicting dramatic icons of the Tibetan spirit world, and there was a very small room with a large prayer wheel from the ceiling to the floor. We then walked to the pedestrian area just outside the Mahadbodhi Temple, where there were the usual stalls selling not only religious souvenirs but really anything imaginable that could be sold cheaply to the passing tourists. We could see many groups of pilgrims and Buddhist monks in the Temple grounds, but decided to put off our own visit till the following day.



The next morning we took a rickshaw to the Mahakala Caves located in the rocky cliffs 18 kilometers from Bodhgaya. It was a destination recommended by the guesthouse manager and I’m very glad we went. It is the place where Buddha had practiced 6 years of severe ascetic practice which led to his body weakening so much that he nearly died. As usual the short distance took quite a long time – almost an hour – as we had to drive through some very isolated villages with poor roads to get there. After we arrived we had to make a short steep climb up a very dry and rocky cliff side to where there was a small temple, some extremely simple accommodation for monks and pilgrims, and of course the cave where Buddha is said to have stayed. We were able to go inside the cave itself, a very small space with just enough room for a tiny handful of people to sit quietly and there was a sculpture of the emaciated image of the Buddha, his body withered to just skin and bones. We were fortunate to be the only ones there at the time; just as we were leaving quite a large group of Sri Lankan pilgrims all dressed in white arrived.





On our way back we saw hundreds of people making their way across the dry river bed of the Niranjana River from a Hindu temple on one side to one on the other. The rickshaw driver said he would wait for a small fee, so we made a quick stop to visit this Vishnu Temple. People had gathered for the pitri paksha celebration, and there was this cyclical flow of worshippers coming up from the river to walk to a very small Vishnu shrine, leave their offerings of money, flower petals and garlands, and then go back across the river bed to the temple on the other side. The contrast between the overwhelming commotion of this Hindu form of worship and the ascetic silence of the Mahakala Caves says volumes about the revolution Buddha brought to the Hinduism of his day.





When we got back it was lunch time and Sarah’s guidebook recommended a place just across the street from our guesthouse so we decided to have a look. After walking up and down the street a couple of times and not finding anything that resembled a restaurant we asked, and sure enough the Gautam restaurant was right in front of us. We hesitated a moment before going in – it was really just a large canvas tent draped around a tree, there was no sign of a kitchen or of any other customers for that matter, but we decided to give it a go. We decided to eat in the garden area outside at the back which bordered on neighbors washing their kids at a well, and a farmer tending his horse. I don’t quite know where the food came from but it was good and incredibly cheap – less than 500 Rps for all six of us (under 10€) and we left completely stuffed.



We then visited the Mahadbodhi Temple – a World Heritage Site – where Buddha experienced his enlightenment under the Bodhi Tree. The temple stands 55m tall and it’s elegant spire can be seen from as far as the Mahakala Caves. The beautiful green grounds around the main temple are adorned with dozens of stupas and smaller temples; and finally there is the giant Bodhi Tree to which Buddha fixed his gaze.  There was indeed a very serene atmosphere despite the constant flow of pilgrims coming to pray and meditate together. The following morning I returned early, at 5.30, and saw Tibetan monks that had slept outside in the garden get up, fill hundreds of butter lamps and then do prostrations in the direction of the Bodhi Tree. The prostration practice can go on for hours and must be incredibly demanding on the body.






We could have spent an extra day in Bodhgaya, the last morning we crammed in the remaining temples – each one with their own distinctive cultural style – and did a little last minute haggling for some very nice objects to take back home with us. In any case the opportunity to watch and take part in this great devotion to a man and his teachings, and to walk in his historical footsteps was an experience that really opened up a new world for all of us.


Bhutanese Temple
Tibetan Temple
Japanese Temple


Paul